L’estetica dei Supereroi
Articolo pubblicato il: 17 Novembre, 2021
Un volume edito da Gestalten analizza i fumetti Marvel e la loro storia dal punto di vista del graphic design
Nino Brisindi, uno degli Art director del Gruppo Gedi, scrive di “Marvel By Design”, libro appena uscito per l’editore Gestalten. L’articolo è stato pubblicato originariamente su “Design”, allegato de “La Repubblica”. Lo riproponiamo di seguito, ringraziando l’autore.
Difficile immaginare che Stan Lee – diciassette anni nel 1941, il più giovane editor mai assunto – sapesse che il volo dei suoi supereroi sarebbe arrivato così lontano.
Oggi, a ottant’anni anni dalla nascita della Timely Comics, un libro edito da Gestalten con Liz Stinson racconta la storia della Marvel, e lo fa da un punto di vista singolare: il graphic design.
“Marvel by Design” è un volume di 320 pagine che con moltissime illustrazioni svela tutti i dettagli del Marvel method. Era, questo, un sistema di produzione che sapeva esaltare il singolo talento dei disegnatori pur convogliandolo in un canone codificato e minuzioso di colori, tratti e griglie. E ha dimostrato l’influenza dei fumetti nella cultura popolare, nel graphic design e nell’arte, fino a sconfinare nel terzo millennio e arrivare dritto dritto negli schermi dei nostri smartphone.
La grafica dell’Universo Marvel
La prima parte del libro è una specie di trattato enciclopedico illustrato che decodifica l’Universo Marvel dal punto di vista del design grafico. La premessa smonta ogni visione romantica sulla genesi del fumetto – l’artista chino sul suo tavolo da disegno, caffè, sigarette e il capolavoro che nasce in una notte. In realtà la creazione di una storia è il distillato di una linea di assemblaggio che prevede diverse figure, ognuna con il suo ruolo delineato.
Si va dall’editor, il burattinaio che tiene le fila di tutto il processo, al writer che scrive storia e sceneggiatura; dal disegnatore, l’inchiostratore e il colorista al letterista, che con sapienza sinestesica trasforma parole ed effetti sonori in testi e onomatopee.
Il logomarchio
Centinaia di tavole e illustrazioni mostrano come ogni segno sia stato codificato e abbia subìto una continua evoluzione. A partire dal logo dell’azienda, che all’inizio non si chiamava Marvel ma appunto Timely Comics.
Il marchio evocava i sentimenti patriottici dell’epoca, che avrebbero poi dato vita al personaggio di Capitan America: uno scudo blu, con la metà inferiore a strisce rosse e bianche. Quando invece la società cambiò nome in Atlas Comics nel 1951, erano tempi più cosmopoliti: il logo si appoggiava su un globo stilizzato avvolto da un nastro bianco.
Le immagini di personaggi, loghi, copertine raccontano ovviamente le intuizioni grafiche e artistiche dei migliori disegnatori Marvel, e le influenze reciproche con le mode del momento. Un esempio per tutti, le copertine di Jim Steranko di fine anni ’60, colori psichedelici e motivi optical. Altre parti di questa sezione enciclopedica svelano tutte le tecniche che sfogliando una storia non si recepiscono ma si percepiscono.
Il design personalizzato dei personaggi
Per esempio il disegno del logo di un fumetto – squadrato se si parla di spionaggio, appuntito o fluido per evocare magia, strappato o bruciato per un’atmosfera soprannaturale; “ogni logo è disegnato per abitare lo stesso mondo del personaggio”.
Fondamentale anche il ruolo dell’impaginazione di ogni singola tavola – sia con testi che con disegni – per uno storytelling che rapisce il lettore impedendogli di guardare altrove. “Alla Marvel ogni disegnatore e ogni letterista è un graphic designer, anche se non lo sa”.
I comics testimoni della Storia
Ma forse ancora più interessante, nella seconda parte del libro, verificare come tappe e cambiamenti della cultura americana dagli anni Quaranta a oggi siano stati spesso documentati nei fumetti Marvel, altre volte sostenuti se non perfino anticipati.
Per esempio il personaggio “afrofuturista” di Black Panther, primo supereroe di colore. Disegnato nel 1966 da Jack Kirby, bruciò con sei anni di anticipo la “Lanterna Verde” John Stewart creato dall’eterna rivale, la DC Comics di Superman e Batman. Oppure Ms. Marvel, superoina che quando non indossava il costume lavorava in una rivista femminile e lottava per la parità di retribuzione. Era il 1977.
Altro percorso parallelo, quello con l’arte e la cultura visiva popolare. L’affinità con la pop art era così evidente che all’epoca Stan Lee decise di modificare il nome della casa editrice in Marvel Pop Art, per sottolineare l’influenza culturale dei suoi fumetti ed entrare definitivamente nella storia dell’arte.
I lettori affezionati non gradirono, e Lee fece rapidamente marcia indietro. Ma il corso degli eventi era scritto, e i riferimenti allo stile Marvel finirono dappertutto, dalle opere di Roy Lichtenstein a quelle di Andy Warhol; dalle confezioni di cereali per bambini alla copertina dell’album dei Pink Floyd A Saucerful of Secrets.
E non è bastata la rivoluzione tecnologica degli ultimi venti anni per spazzare via l’influenza dei fumetti nella cultura popolare, visto che il loro lascito iconografico è già da un pezzo nei nostri smartphone. I messaggi che ci scambiamo su Whatsapp o Telegram sono contenuti in balloon, e le emoticon che segnalano il nostro stato d’animo, quelle faccine con le goccioline, rosse di rabbia o con gli occhi a cuoricino, oggi non esisterebbero se i cartoonist non avessero codificato le nostre emozioni in segni grafici universali. Il legame tra il nostro mondo e quello dei fumetti è destinato a durare ancora a lungo.
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