Il linguaggio universale dei pittogrammi

Articolo pubblicato il: 20 Maggio, 2023


A New York una mostra celebra i 50 anni del “Symbol sourcebook”, il libro che ha svelato l’importanza dell’infografica

Nino Brisindi, art director del Gruppo Gedi, ci racconta la mostra “Give Me a Sign: The Language of Symbol”, al Cooper Hewitt Design Museum di New York fino a settembre 2024. L’articolo di Nino Brisindi è stato pubblicato su “Design”, allegato del quotidiano La Repubblica. Lo riproponiamo di seguito.


Give Me a Sign: The Language of Symbols
Poster ispirato al libro del 1972 “Symbol Sourcebook – An Authoritative Guide to International Graphic Symbols” di Henry Dreyfuss

“When language fails, symbols work”, i simboli funzionano dove il linguaggio fallisce. Così iniziava l’articolo del New York Times del 26 gennaio 1972 che annunciava la pubblicazione di “Symbol Sourcebook – An Authoritative Guide to International Graphic Symbols”. Il libro, opera di decenni di lavoro del designer statunitense Henry Dreyfuss, è ancora oggi considerato il dizionario universale dei pittogrammi. Quei simboli grafici, cioè, che ci permettono ogni giorno di fare cose che diamo per scontate. Come, ad esempio, usare una fotocamera progettata in Giappone, scegliere la giusta direzione mentre prendiamo la metro a New York, capire dov’è il bagno mentre siamo sul volo per Singapore.

La necessità di un linguaggio universale

Per ricordare il mezzo secolo del libro – che in realtà ha compiuto cinquant’anni esatti l’anno scorso – il Cooper Hewitt Design Museum di New York ha pensato a una mostra. “Give Me a Sign: The Language of Symbols”, ha inaugurato il 13 maggio scorso e resterà aperta fino a settembre 2024. La curatrice, Emily Orr, ce ne parla iniziando dalla storia del libro: «Il Symbol sourcebook fu pubblicato perché le crescenti relazioni sociali e commerciali in tutto il mondo richiedevano un sistema di comunicazione comprensibile universalmente. Per questo il libro fu accolto come “il primo passo verso un mondo senza parole”».


Henry Dreyfuss
Henry Dreyfuss nel suo studio

Dreyfuss, dai telefoni ai pittogrammi

Henry Dreyfuss, che nel corso della sua carriera aveva progettato telefoni, fotocamere polaroid, locomotive, dedicò gran parte del suo lavoro allo studio e alla percezione di simboli universali. Lui stesso raccontava di quando, dovendo gestire una spedizione internazionale di giocattoli, decise di disegnare tre simboli sulla scatola. Due frecce verso l’alto (“this side up”) che indicavano come appoggiare il pacco; un calice (“fragile”) che indicava la delicatezza del contenuto; un ombrello aperto (“keep dry”) per assicurarsi che la merce non fosse esposta all’umidità.

“Considerando che la spedizione partiva da Mosca, passava per Costantinopoli, il Pireo, Genova e Lisbona per raggiungere gli Stati Uniti, i miei simboli hanno parlato sei lingue” disse in seguito.


Pittogrammi
I pittogrammi per le Olimpiadi di Monaco 1972

Nuove sensibilità culturali

La mostra non si ferma però al Symbol sourcebook. Una sezione è dedicata ai pittogrammi che sono stati pensati o si sono evoluti per adeguarsi a nuove sensibilità culturali e necessità comunicative. Un esempio su tutti, il simbolo internazionale di accesso. «Nato nel 1968 dalla matita della studentessa danese Susanne Koefoed», racconta ancora Emily Orr, «raffigurava una persona seduta passivamente su una sedia a rotelle. In breve tempo il simbolo venne riconosciuto in decine di paesi e fu incluso nel libro di Dreyfuss. Nel 2010 gli attivisti Sara Hendren e Brian Glenney, con una operazione di guerrilla art modificarono i segnali di accessibilità sparsi per le strade di Boston, sostituendo la vecchia icona con un pittogramma più dinamico. Oggi il simbolo dell’omino che spinge la sua sedia a rotelle in autonomia è quello ufficiale, grazie anche al lavoro di rifinitura grafica del designer Tim Ferguson-Sauder ».


The Language of Symbols
Il simbolo internazionale di accesso fu realizzato da Susanne Koefoed

A ogni messaggio il suo linguaggio

Diversa la storia di altri simboli, nati per trasmettere specifici messaggi politici o sociali e poi riadattati a cause diverse se non addirittura opposte. È il caso dell’icona del pugno chiuso: «Pubblicato dal sindacato americano Industrial workers of the world nel 1917, “La mano che dominerà il mondo” dimostra come l’arte abbia fatto del pugno chiuso un simbolo di propaganda politica già agli albori del ventesimo secolo. Nei decenni a cavallo della pubblicazione del Symbol sourcebook, il pugno chiuso è diventato l’icona di movimenti per i diritti sociali come il Black power o il Black lives matter, ma anche di organizzazioni violente che incitavano all’odio razziale e alla supremazia dei bianchi. Oggi è un potente simbolo visivo che accende proteste studentesche, campagne contro la guerra, lotte di indipendenza e altro ancora».


Give Me a Sign: The Language of Symbols
Due simboli universali: pugno chiuso e il triangolo con le sue diverse applicazioni

In continua evoluzione

Il mondo dei simboli è dunque in continua trasformazione, forse oggi come mai prima. Ma è sempre più dalle persone, dalla vita comune, dalle istanze sociali che una nuova icona prende vita. Basti pensare alle emoji. Anche se l’approvazione di ogni singola icona passa per il consorzio Unicode, chiunque può proporre un simbolo nuovo. Lo ha fatto Rayouf Alhumedhi, la ragazza saudita che vive a Vienna e che a quindici anni ha inventato l’emoji della donna con l’hijab, la sciarpa delle donne islamiche. Per questo, in occasione della mostra il museo Cooper Hewitt chiederà ai visitatori di partecipare alla pubblicazione di un nuovo Symbol sourcebook versione 2024. Spiega Emily Orr: «Il team che lavorò all’edizione del 1972 divulgò un questionario per raccogliere idee e simboli che società e aziende usavano nella vita quotidiana. Nello stesso spirito di collaborazione, oggi ogni visitatore della mostra potrà proporre un simbolo combinando elementi geometrici e colori o disegnare un pittogramma che richiami un posto che ama o una causa che gli sta a cuore. Ma anche chi non verrà alla mostra può condividere le sue idee. Basta disegnare un simbolo e postarlo sui social media aggiungendo i tag @cooperhewitt e #SymbolSourcebook2024».


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