Il design della musica
Articolo pubblicato il: 19 Ottobre, 2022
Stili, tecnologie e protagonisti del giradischi, l’oggetto più rivoluzionario del secolo scorso. In un libro da collezione
Nino Brisindi, Art director del Gruppo Gedi, ci racconta “Revolution”, volume appena pubblicato da Phaidon: l’avventura del giradischi, oggetto che ha rivoluzionato la storia, non solo della musica. L’articolo di Nino Brisindi è stato pubblicato sul sito de La Repubblica. Lo riproponiamo di seguito.

A volte il design va guardato come fosse un dado da gioco: uno lo tira e cambia le sorti della partita. È così che andò al fonografo di Thomas Alva Edison. Nel 1887, dopo dieci anni dal suo brevetto, Emile Berliner, inventore tedesco scappato in America per evitare la guerra franco-prussiana, tirò il suo dado: era il grammofono, che funzionava sullo stesso principio, ma usava dischi al posto di cilindri. Iniziò così una battaglia commerciale tra gli inventori dei due apparecchi, e in pochi anni fu il pubblico a decidere: a Edison restò il merito di aver inventato la tecnologia, ma fu il disco di Berliner ad averle dato la forma definitiva.
Un libro da collezione
Di Edison, del grammofono, di tutta la storia del giradischi e del ruolo chiave del design nella sua diffusione, si racconta nel libro “Revolution – The history of turntable design”, di Gideon Schwartz, in uscita da Phaidon.

Il libro è una ricchissima collezione fotografica che parte dalla seconda metà dell’Ottocento e arriva fino a oggi. In questi centocinquant’anni il giradischi ha cambiato forma, materiali e velocità ed è stato un game changer per la cultura di massa. Nel 1948 ad esempio, quando Peter Goldmark, un talentuoso immigrato ungherese ingaggiato dalla Columbia, con l’intenzione di aumentare la capienza del disco, ne raddoppia i solchi e sostituisce la gommalacca con il vinile, più fedele e resistente. Nasce il long playing, 33 giri al minuto, e sugli apparecchi compare la manopola per cambiare la velocità di rotazione del piatto, a 33 o a 78 giri.
Arriva il Rock and Roll
Nuovo lancio di dado: la Rca, rivale della Columbia, non resta a guardare e scommette su un disco che gira 45 volte al minuto. Il nuovo formato, nato da una curiosa equazione matematica – 78 meno 33 fa 45 – contiene solo due brani, uno da una parte e uno dall’altra. È maneggevole, indistruttibile, economico, perfetto per soddisfare la fame di hit e divertimento delle generazioni di giovani usciti dalla guerra. È grazie a lui che si diffonde nel mondo il verbo del rock and roll.

Alta fedeltà
Nasce così negli anni Cinquanta la cultura dell’hi-fi, la passione per l’ascolto in “alta fedeltà”. Il giradischi entra in milioni di case e diventa un oggetto di design che contraddistingue status e gusto di chi sceglie quale modello mettersi in soggiorno. La Braun, azienda tedesca di elettrodomestici, ci crede e mette in piedi un team di giovani talenti. Tra loro c’è il ventenne Dieter Rams. Ispirata dal razionalismo, la squadra disegna l’SK4 e poi il TP1, quintessenza del minimalismo, con la testina che compare dal fondo e legge il lato inferiore del disco.

Tipi da museo
Entrambi avranno una teca al Moma di New York. Il credo funzionalista di Rams diventerà lo stile Braun, e i suoi progetti saranno di ispirazione per il design di elettrodomestici e dispositivi tecnologici futuri: il TP1 e il primo iPod della Apple ad esempio – quello con la grande rotella al centro – hanno una somiglianza sorprendente nonostante i cinquant’anni che li separano.
Negli anni successivi è tutto un fiorire di modelli sempre più sofisticati, dedicati ad audiofili facoltosi. Nascono tecnologie innovative come il braccio tangenziale – che segue in parallelo il solco del disco insieme alla testina di lettura, per una maggiore fedeltà di riproduzione – o i cuscinetti a sfera per evitare oscillazioni.

Dalla casa al grande schermo
Il giradischi, ormai oggetto di culto, si conquista un posto da protagonista ovunque. Nel 1971 Stanley Kubrick sceglie personalmente il Transcriptors Hydraulic Reference, prodotto in Inghilterra, per le scene di “Arancia meccanica”; nel 1975 il giapponese Micro Seiki, piatto sospeso su cuscinetti ad aria, viene segnalato dalla rivista Playboy come il più costoso sistema hi-fi del mondo. E in Danimarca Jacob Jensen progetta il Beogram 4000 per Bang&Olufsen: elegante combinazione di teak e alluminio, braccio tangenziale e una fotocellula che rileva le dimensioni del disco per impostare la giusta velocità di rotazione del piatto. Altra teca al Museum of modern art.


La febbre del sabato sera
Élite di agiati tecnomelomani a parte, il giradischi ha altri dadi da tirare. Per esempio quando entra nelle discoteche e negli studi di registrazione. Alla fine degli anni Settanta la Technics produce l’SL1200 MK2: leggero e robusto, ma soprattutto dotato di una manopola pitch, che può cambiare gradualmente la velocità del disco, invece dei preimpostati 33 o 45 giri. Grandmaster Flash ne affianca due insieme e con il pitch sincronizza il ritmo dei due dischi in un mashup senza interruzioni. Nascono il breakbeat, l’hip hop, lo scratch. Lui diventa il patriarca dei deejay, il giradischi uno strumento musicale: non gli basta più essere un riproduttore di brani, uno status symbol, un game changer. Ora vuole il suo posto sul palco accanto a basso e batteria.

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