Beppe Giacobbe

Articolo pubblicato il: 11 Maggio, 2022


Dialogo con il maestro dell’illustrazione concettuale italiana tra ricordi, aneddoti e passioni
Ritratto Beppe Giacobbe
Beppe Giacobbe in un ritratto fotografico di Giuseppe Cavalleri

«Fare l’illustratore è un servizio: si tratta di un mestiere che risolve i problemi». Ad affermarlo – quasi fosse un mantra – è Beppe Giacobbe, decano dell’illustrazione editoriale e maestro per generazioni di studenti che con lui si sono formati e spesso, poi, affermati.


Un mentore che non vive di gloria passata. È un professionista che continua a fare ciò che ha sempre fatto: l’illustrazione editoriale. E così – ogni settimana – Beppe Giacobbe visualizza le idee della cover story de La Lettura, l’allegato culturale del Corriere della Sera

Sono sempre sorprendenti, quelle che realizza: ogni articolo è illustrato in modo laterale e offre al lettore una visione originale, mai didascalica, di quello che è l’argomento trattato. È proprio questa la cifra artistica di Giacobbe, che gli ha fatto guadagnare la nomea di padre dell’illustrazione concettuale italiana.


Illustrazione editoriale
“Analfabetismo”, da La Lettura (2012)

Formazione classica

La sua storia artistica e professionale inizia negli anni ‘70, quando dopo il liceo scientifico – frequentato per accontentare i desideri dei genitori – si iscrive all’Accademia di belle arti di Brera a Milano. Formazione classica, disegno dal vero e tecniche tradizionali. Ma il periodo è estremamente stimolante per il mondo dell’illustrazione: da una parte ci sono i grandi autori italiani e stranieri (Ferenc Pinter, John Alcorn e su tutti Saul Steinberg), dall’altra una generazione di giovani che iniziavano a pubblicare i loro lavori, ad esempio Libero Gozzini, Giovanni Mulazzani e Federico Maggioni.

I primi anni

E poi i “Graphis Annual”, le pubblicazioni che arrivavano dall’estero e che – faticosamente – il giovane Giacobbe si procurava per studiare i grandi illustratori internazionali. «Io e i miei compagni di Accademia andavamo a comprare i libri d’importazione a casa di una signora che, appena le arrivavano nuove pubblicazioni, ci chiamava. Un giorno – incuriosito dal suono del cinguettio di uccelli – aprii una porta della casa e scoprii un salone enorme in cui questa signora teneva decine di uccelli, che volavano liberi, senza alcuna gabbia che li contenesse». Sono i ricordi di Giacobbe che – seduto al tavolo di un bar di piazza Lavater a Milano – mi racconta gli inizi della sua carriera artistica, longeva e  piena di riconoscimenti.


Studio Ink
Lo Studio Ink nel 1973. Da sinistra in alto: Giovanni Mulazzani, Juan Ballesta, Tomislav Spikic, Michel Fuzellier. In basso: Giancarlo Carloni, Paolo Guidotti, Libero Gozzini.

Lo Studio Ink

Negli anni ‘70 frequenta lo Studio Ink dove stava nascendo la figura dell’illustratore che fino ad allora non era contemplata: la tradizionale Accademia non andava oltre l’idea del pittore. «Gli artisti dello Studio Ink mi aprirono la porta e mi svelarono tutti i segreti  del mestiere. Quello che più mi influenzò fu Giovanni Mulazzani. In quel periodo mi convinsi che la pubblicità non faceva per me: da bravo giovane moralista, impegnato politicamente, la consideravo troppo effimera. Mi diressi perciò verso l’editoria per ragazzi e i giornali femminili che erano confezionati benissimo. “Grazia” ad esempio pubblicava disegni di grandi illustratori come Adelchi Galloni e Maggioni».


Le illustrazioni di Giacobbe
“Europa”, Corriere della sera (2011)

Grandi maestri

Parliamo poi del grande Ferenc Pinter, maestro adorato da Giacobbe: «Lui faceva ancora parte di una generazione di illustratori praticamente assunti dalle case editrici. Disegnava tutte le copertine Mondadori, da Maigret ai gialli, ai mitici Oscar. Lavorava con una velocità incredibile, producendo centinaia di illustrazioni ogni anno. E tutte avevano una qualità altissima». Non sempre la velocità – dovuta alle molte commesse da consegnare – è un valore negativo: «Quando ho tanti lavori da fare tutti insieme lavoro meglio, perché non ho il tempo per baroccare, per aggiustare, per farmi venire i dubbi». 

Il discorso scivola poi su Karel Thole, altro maestro che Beppe Giacobbe ha conosciuto bene anche per motivi logistici: «Abitava di fronte a Parco Ravizza – mi racconta – e io avevo lo studio due portoni appresso. Era più grande di me (Thole, olandese ma milanese di adozione, era nato nel 1914 ed è  morto nel 2000, ndr), e quando lo frequentai era a fine carriera. Non ci vedeva più tanto bene, ma si era fatto costruire un sistema incredibile di lenti d’ingrandimento che gli permetteva di continuare a dipingere. Era un tipo silenzioso e gentile, autore di tantissime copertine della collana di fantascienza “Urania”».


Le illustrazioni di Giacobbe
“La scrittura” è il titolo di questa illustrazione

Difficoltà iniziali

Nonostante la vicinanza con questi mostri sacri dell’arte, inizialmente non fu tutto semplice: «Intorno al 1976 ricordo che mandai un disegno alla Fiera del libro per ragazzi e venne rimandato indietro: provenendo dall’Accademia ho avuto bisogno di un paio di anni per capire come orientarmi nel mondo dell’illustrazione editoriale. Dopodiché insieme ad alcuni colleghi mettemmo insieme un portfolio comune, con stili diversi, e in questo modo iniziarono ad arrivare i primi lavori».

Il giovane Giacobbe divide studi con altri artisti, antesignano del moderno coworker. E inizia a illustrare per libri, giornali, pubblicità. Nel frattempo sono arrivati gli anni ‘80 e Milano – quella da bere – offre mille possibilità e opportunità professionali. 

Inizia a lavorare nei giornali. I primi impieghi sono per il “Corriere medico”, su cui pubblica disegni molto influenzato da Saul Steinberg e Max Ernst. Sui quotidiani ancora non era arrivata la stampa a colori e quindi si disegnava in bianco e nero, magari aiutandosi con le fotocopiatrici per ottenere strani effetti e sperimentare. Dopo qualche anno inizia a lavorare per il Corriere della Sera, dove pubblica ancora oggi.


Beppe Giacobbe
Spesso le immagini di Giacobbe sono surreali

Alla conquista dell’America

Tra il finire degli anni ‘80 e i successivi ‘90, Giacobbe subisce il fascino di New York e qui si trasferisce per frequentare la School of Visual Arts di Milton Glaser. Pioniere rispetto ai tempi e ai colleghi, lavora nel mercato americano ed entra a far parte dell’agenzia di Vicky Morgan e Gayl Gaynin. Morgan era stata anche agente di John Alcorn, illustratore che ha fatto la storia e che ai tempi dell’Accademia era un mito per Giacobbe.


Beppe Giacobbe
New York City disegnata per il “Corriere della Sera” (2012)

Nel 1993, consigliato dall’amico grafico Matteo Bologna, Giacobbe acquista il suo primo computer e comprende subito le potenzialità creative della macchina. Lo utilizza inizialmente per impaginare le copertine dei libri che illustra, ma nel giro di qualche anno il Mac diventa lo strumento unico della sua arte. «Ho studiato per anni le tecniche miste, adorando la materia, e tutto questo lavoro pregresso mi è tornato molto utile quando ho iniziato a utilizzare il computer. Non amavo le tinte piatte e quindi grazie alla mia esperienza riuscivo a riprodurre la materia anche sul digitale, scansionando originali materici».

La consacrazione

Il primo decennio del Duemila è quello della definitiva consacrazione di Giacobbe: il suo stile è estremamente riconoscibile e detta la linea per le nuove generazioni di illustratori.
Nel 2009 con “La Lettura” adotta definitivamente lo stile concettuale, che aveva sporadicamente utilizzato già negli Stati Uniti. Mi racconta: «Quando ho iniziato a illustrare l’allegato culturale del “Corriere della Sera”, ho capito che c’era bisogno di qualcosa di diverso, di imprevedibile. Una sorta di trappola per catturare l’attenzione e fermare il lettore. E magari farlo anche pensare».


Beppe Giacobbe
“Corale” su La Lettura (2012)

Anche in questo caso all’inizio non è stato tutto facile: «Le richieste della committenza erano sempre molto didascaliche, c’erano delle resistenze. Poi un giorno – provocando – ho detto che neanche leggevo più gli articoli che dovevo illustrare: mi bastava e avanzava conoscere l’argomento trattato. Pian piano il nuovo stile è stato accettato e apprezzato, divenendo un tratto distintivo mio e delle pubblicazioni per cui lavoro».

Insegnare la passione

Nel frattempo Beppe Giacobbe ha sempre accompagnato la sua professione di illustratore con l’attività di docente: dodici anni all’Istituto Europeo di Design e poi – ancora oggi – all’Isia di Urbino. Quando ne parla, è difficile capire il confine tra il lavoro di formatore e la passione che ci mette. Mi racconta dei suoi metodi di insegnamento, dei suoi tanti studenti (Emiliano Ponzi, Olimpia Zagnoli, Pierluigi Longo, per citarne solo alcuni tra i più noti), mi consiglia profili Instagram da consultare. «Mi piace lavorare con i giovani, metterli in contatto, creare delle classi in cui loro formano un cerchio e io non sono al centro, ma gli giro intorno. Li esorto a presentare i propri manufatti e confrontarsi, commentandoli insieme in modo costruttivo».

Immagini che suonano

Il tempo è volato. Giacobbe deve andare via, ha un impegno legato alla sua altra grande passione, la musica. Tanti anni fa, dovendo scegliere, la accantonò per seguire la strada dell’illustrazione, ma non l’ha mai abbandonata del tutto. «A volte, adesso, riesco a metterle insieme, le mie due grandi passioni. E sono soddisfatto quando ottengo immagini che suonano. Illustrazioni, cioè, che guardandole ti fanno venire in mente un suono, un rumore, una musica».


Scuola Giacobbe
Per Beppe Giacobbe questa sua illustrazione ha anche un suono. Su La Lettura (2022)

Da qui si capisce la chiave del lavoro di Giacobbe, che comunica anche ai suoi studenti: cercare sempre la strada creativa più sorprendente e meno scontata. Perché, se è vero che l’illustratore risolve problemi, il modo in cui li risolve deve essere il più originale possibile. Immagini che suonano, insomma.


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