Una copertina sempre attuale
Articolo pubblicato il: 14 Maggio, 2023
Oggi come nel 1975 la cover de L’Espresso dedicata all’aborto è di rara potenza. Ecco la sua storia
La nuova copertina de L’Espresso è molto particolare. Presenta, con un gioco grafico, una vecchia copertina del giornale del 1975 appoggiata su una nuova cover, e il titolo recita “1978-2023. A che punto siamo”.
Il riferimento è alla legge 194 della Repubblica Italiana che – dal 22 maggio 1978 – disciplina le modalità di accesso all’aborto.
Anniversario importante
In questo anniversario (1978-2023, sono passati 45 anni) e con il nuovo governo di destra, la legge 194 sembra essere a rischio tra propositi di riforma, medici obiettori e Pro vita. E purtroppo in questo momento storico non è l’unica conquista civile sotto attacco.
Un giornale è un organismo vivente e – come tale – ha un suo DNA, una sua natura che lo contraddistingue e lo avvicina ai propri simili. E nel DNA de L’Espresso, sin dalla sua fondazione nel 1955, ci sono sempre state le battaglie civili, dall’aborto al divorzio all’integrazione sociale e culturale, iniziate in anni in cui l’Italia era completamente diversa.
E infatti sono degli anni Sessanta le prime copertine dedicate a temi come l’aborto e il divorzio.
La copertina dello scandalo
Altre copertine che trattavano gli stessi argomenti furono realizzate negli anni a seguire, accompagnando così l’evoluzione della società italiana.
Ma la copertina che fece davvero scandalo, in un Paese bacchettone, cattolico e democristiano, fu quella del 1975, che abbiamo citato e riproposto oggi. Ecco la sua storia.
Campagna di civiltà
Chi era la ragazza coraggiosa messa in croce? In croce come Gesù, e però femmina, incinta e nuda. Drammatica, con quella luce livida, e insieme dolce. La chioma nera che scende sul petto pallido, la morbida curva del ventre teso dalla gravidanza, le braccia snelle, l’ombra scura del pube.
Era la copertina de L’Espresso del 19 gennaio 1975, e fece un putiferio, tra governo Moro, mondo cattolico, gerarchie vaticane. Il titolo era “Aborto: Una tragedia italiana”. E fu l’inizio, in un’Italia clericale arretrata sul piano del costume e dei diritti, di una grande campagna di civiltà: il diritto delle donne a fuggire l’aborto clandestino, a non dover commettere un reato penale, a vedersi riconosciuta la sovranità sul proprio corpo.
I protagonisti
Non si dimentichi che, durante la battaglia per l’aborto sicuro, il segretario del Partito radicale Spadaccia era stato arrestato, la polizia caricava i cortei e perquisiva le redazioni, il segretario Dc Amintore Fanfani chiedeva atti di censura su stampa e cinema. La campagna culminò con la legge 194 del 1978 che legalizzò l’aborto, e il referendum dell’81 che lo difese con successo dagli attacchi dell’Ancien régime. Preistoria? Quasi.
Non c’era Photoshop, nel 1975. Era tutto vero. Vera la modella incinta e dolente, scelta dal fotografo Dante Vacchi, un professionista che aveva seguito la guerra d’Algeria per “Paris-Match”. Vera la tempesta politica provocata da Livio Zanetti direttore responsabile e Franco Lefèvre photo editor.
La campagna contro l’aborto clandestino fu, come quella per il divorzio, un pilastro del battagliero L’Espresso anni Settanta, e quella copertina, con la sua forza iconica (poi ripresa, variata, citata in campagne femministe, nella fotografia d’arte, nella performance) entrò nella storia del giornalismo d’inchiesta e di denuncia.
Immagine di rara potenza
Poi, negli anni, ogni volta che L’Espresso si è trovato ad affrontare il tema dell’aborto non è mai riuscito a trovare un’immagine altrettanto potente. Tanto è vero che è stata richiamata in copertina molte volte, l’ultima proprio oggi.
Nel 2018 l’illustratore Ivan Canu l’ha addirittura inserita a mo’ di poster nel disegno realizzato per il magazine.
Il segreto della forza di questa immagine è nel contenuto simbolico. Sfida i maggiori tabù della società italiana: il sesso (la donna nuda), la religione (la croce), la maternità (la donna è incinta).
E viene naturale chiedersi se oggi, a distanza di quasi mezzo secolo da quella copertina, sarebbe possibile proporre un’immagine di questo genere a un pubblico abituato ormai a vedere tutto ma – spesso – senza alcun significato profondo.
E infine è altrettanto naturale pensare che – se ancora oggi abbiamo necessità di utilizzare questa copertina – forse in questi cinquant’anni la società italiana non ha poi fatto troppi passi in avanti.
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