Jack Smyth e l’arte di vestire i libri

Articolo pubblicato il: 24 Maggio, 2023


Intervista al designer irlandese che ha appena ridisegnato le copertine di Italo Calvino per Mondadori
Jack Smyth intervista
Un autoritratto del designer irlandese

Jack Smyth, art director irlandese di stanza a Londra, è uno dei migliori progettisti di copertine di libri a livello mondiale. In occasione del centenario della nascita di Italo Calvino, ha ridisegnato per Mondadori le cover dell’intera serie di libri del grande scrittore nella collana degli Oscar.


Proprio in questi giorni è a Milano per l’inaugurazione della mostra “Calvino qui e altrove. Un percorso attraverso documenti e volumi conservati in Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori” e per un ciclo di lezioni al Mimaster Illustrazione. Grazie all’intercessione di Giacomo Benelli e Ivan Canu, fondatori del Mimaster, riesco a raggiungere Jack Smyth per fargli qualche domanda.


Ci racconti la tua formazione? Come ti sei specializzato nel settore dell’editoria libraria?

Mi sono avvicinato all’illustrazione e al graphic design intorno ai 25 anni, prima avevo studiato in Irlanda multimedia che è un po’ come dire: “niente”.

È stato lavorando in un negozio di dischi, per il quale ho realizzato piccoli progetti di grafica, che ho iniziato a sentire la passione per il design e mi sono trasferito a Londra. Lì ho frequentato un master di un anno sulla grafica e mi sono immerso in questo mondo a metà tra design e illustrazione.

In quel periodo ho partecipato al Penguin Design Award, un fantastico concorso, e mi sono davvero appassionato alla progettazione delle copertine, iniziando fin da subito a mescolare tecnica analogica e digitale. Speravo molto di vincere ma non è stato così, e non sono neppure finito in shortlist. Ma durante il processo di lavorazione per il concorso ho conosciuto al master un senior designer della casa editrice che ha apprezzato il mio lavoro e la mia dedizione e mi ha procurato uno stage.

Quindi possiamo dire che da un punto di vista degli studi non sono né un vero graphic designer né un illustratore, ma qualcosa che sta nel mezzo. Ed è una collocazione in cui mi piace stare molto.


Che differenza c’è tra essere art director free lance (come sei adesso) e lavorare invece all’interno di un grande gruppo editoriale (come hai fatto in passato)?

Lavorare per 5 anni all’interno di una casa editrice è stata un’esperienza incredibile da cui ho imparato molto grazie al confronto con altri grandi professionisti della filiera editoriale. E mi ha anche insegnato che fare un libro significa prima di tutto conversare, comunicare veramente con il team di lavoro.

Si cerca sempre l’optimum come ambiente di lavoro ma poi ci si accorge che non esiste. La ragione per cui ho lasciato dopo 5 anni è stata il desiderio di dedicarmi maggiormente alla parte di design, che sento più mia. Come free lance il 90% del mio tempo è concentrato nel confronto con il libro da copertinare e non sono distratto da call o meeting di redazione. Nella ricerca di migliorare sempre la qualità del mio lavoro ho sentito che l’ambiente del freelance è quello più adatto a me.


Jack Smyth Cover Book
La copertina del romanzo “The colony”
Che linguaggio e messaggio visivo deve avere una copertina per raggiungere al meglio il pubblico a cui si rivolge?

Per me tutto comincia e finisce dentro il libro. Cogliere il mondo immaginato nel testo, la sua realtà, è il compito che mi prefiggo sempre quando inizio a lavorare su una nuova copertina. Questo da un punto di vista concettuale. 

Passando alla grafica invece per me essere semplici e allo stesso tempo incisivi, talvolta audaci, oppure pacati, è un punto fondamentale. Cerco di non perdere mai di vista l’ambiente in cui vivrà il libro per la prima parte della sua vita: la libreria, lo scaffale, luoghi visivamente molto affollati. Qui ogni singolo libro reclama l’attenzione del visitatore. Considero sempre il cliente della libreria come qualcuno visivamente molto capace e intelligente. Credo che fornirgli un design a volte un po’ sfidante, un piccolo indovinello visivo, sia spesso una buona scelta che lo può gratificare.


Nella tua vastissima produzione di book cover, utilizzi foto, illustrazioni e soluzioni tipografiche. Qual è la differenza tra queste tipologie di cover?

Utilizzo questi diversi medium a seconda di quello che il libro mi richiede. A volte li combino, cercando la soluzione più aderente alla voce di quel testo, di quella storia. L’illustrazione e la fotografia parlano due linguaggi molto diversi e vengono recepiti dal lettore in una maniera altrettanto differente. È sempre il testo che mi guida: scelgo quello che meglio possa essere al servizio di quella determinata storia, di quel tono di voce. Certe volte realizzo una versione della copertina per ciascun diverso medium e poi mi metto in ascolto per capire quale sia in grado di restituirmi la medesima sensazione che ho avuto quando ho letto il brief – o l’intero libro – la prima volta.


Jack Smyth interview
Due esempi di copertine tipografiche disegnate da Jack Smyth

Molto ha a che fare con le sensazioni. Il nostro lavoro è quello di essere interpreti visivi di un testo e di riuscire a restituire visivamente almeno la nuance dominante di quella storia. La scelta del medium – in qualche modo – la fa il libro, riguarda il libro, non riguarda me, la mia individualità.

Non ho mai studiato tipografia, sono un autodidatta, non  ho un approccio accademico ai caratteri: li utilizzo come fossero illustrazioni, in maniera creativa. Le lettere hanno una forma prestabilita e questo è fantastico. Per esempio una E è composta da un tratto verticale e tre orizzontali; una volta che si rimane intorno a questo schema base si può fare tutto quello che si vuole. Trovo le copertine di solo tipografia molto belle, perché chi crea un type è come se avesse creato una lingua o meglio la lingua di quel libro. Automaticamente si indirizza il lettore a parlare questo “dialetto” perché non appena inizia a riconoscere le lettere del titolo sta già iniziando a sintonizzarsi col tono del libro stesso.

Certo non credo che sarei in grado di impaginare bene un libro, non ho la formazione necessaria, ma in ogni caso sono davvero affascinato dalla tipografia. Mi piacerebbe molto vedere ridotta – se non annullata – la distanza, la separazione tra il mondo del graphic design e quello dell’illustrazione perché in fondo sono due linguaggi che operano nello stesso mondo.


Cover Book
Due cover illustrate realizzate da Smyth

Che differenza c’è – se c’è – tra progettare la cover di un libro per un autore esordiente e per un mostro sacro della letteratura?

Rispondo a questa domanda ragionando dal punto di vista del pubblico. Per un esordiente il pubblico non avrà molte informazioni pregresse: non ne conoscerà il tono, il modo di scrivere, l’universo narrativo. Proprio per questo è necessario creare un riferimento visuale accattivante, che dia un segno preciso di questa nuova voce del panorama librario. Con un autore famoso invece ci sono delle aspettative, a volte anche un po’ di pressione da parte della casa editrice, e magari una certa tradizione visiva già stabilita da considerare anche quando si decide – o ci viene richiesto – di non seguirla. Mi piace molto lavorare con esordienti, mi piace cominciare con loro “dal piano terra”.

Per esempio con Calvino sono stato io il primo a mettere pressione a me stesso per l’amore che fin da ragazzo ho avuto per questo autore italiano e in questo caso ancora di più ho dovuto mettere distanza tra me stesso e questo lavoro. Non riguardava me, riguardava Calvino.

In ogni caso, sia per un esordiente che per un autore affermato, cerco sempre di offrire il meglio del mio lavoro, con la medesima dedizione.


Jack Smyth Cover Book
Tre cover progettate da Smyth per le opere di Italo Calvino

Come detto, la casa editrice italiana Mondadori ti ha commissionato la progettazione dell’intera serie di libri di italo Calvino, all’interno della prestigiosa collana degli Oscar. Sembrerebbe una doppia responsabilità. Com’è stato confrontarsi con un autore del calibro di Calvino e con una collana di libri che nel passato è stata progettata da grandi designer?

Realizzare la nuova veste editoriale dell’opera di Calvino ha rappresentato il progetto dei mie sogni. Calvino è un autore che amo e conosco da moltissimi anni e che risuona così intensamente in me.

La redazione di Mondadori insieme all’art director Cecilia Flegenheimer hanno deciso di fare un concorso tra 4 diversi designer per assegnare la nuova uniform edition e questa cosa mi ha molto sollevato. Certe volte quando si lavora c’è questa voce dentro che ti dice “devi assolutamente trovare il modo di risolvere questa copertina perché sei tu quello a cui è stato affidato l’incarico”. In questa caso invece l’idea che ci potesse essere sempre un’altra opzione ha tolto un po’ di pressione alla prima fase di progettazione. Insomma, ci poteva essere sempre qualcun altro a fare il lavoro al posto mio. E mi ha anche permesso di essere più audace, di presentare un’unica proposta, quella che mi convinceva di più e che più mi aveva dato piacere nel realizzarla. 

Ho avuto la fortuna di essere un lettore di Calvino e di aver già interiorizzato la sua voce. Non intendo i personaggi delle sue storie, delle ambientazioni, dei caratteri; intendo la voce dell’autore in generale a prescindere dall’opera in cui si declina. In questo caso le copertine da realizzare sarebbero state 33, per opere molto diverse tra loro nel contenuto. La voce dell’autore per me è cruciale.

E da irlandese il fatto che la voce di Calvino fosse arrivata così chiara anche a me è solo l’ennesima conferma della sua universalità, della sua chiarezza. Le storie di Calvino parlano a tutti, a prescindere dal background culturale o geografico, non perché siano banali ma perché ci rivelano elementi dell’esistere a cui magari non abbiamo mai prestato attenzione e che subito riconosciamo come veri e personali.

Lavorare con il team di Mondadori è stato un grande privilegio perché ho sentito in loro la mia stessa passione nel dedicarmi a questo progetto. Allo stesso tempo ho percepito anche la libertà che mi è stata concessa, insieme alla fiducia nel mio lavoro.


Jack Smyth Cover Book
Ancora due copertine per Calvino

Come sei arrivato alla sintesi del segno illustrato di queste copertine?

Per la uniform edition ho realizzato un design molto semplice con un ampio spazio al centro che affidasse all’illustrazione il compito di esplorare e comunicare il tono di quella specifica opera di Calvino. Uno stile molto essenziale, con elementi grafici fissi e pochi colori ma decisi.

Sono un grande appassionato di illustrazioni semplici e con pochi colori, come in questo caso: due colori pantone e poi il bianco e il nero. Questa semplicità rende un’immagine molto netta, efficace, con un sapore visivo che rimanda alla metà del secolo scorso ma che ha del contemporaneo, in grado di parlare sia a nuovi lettori che a quelli del passato. Calvino è un autore che parla a tutti, come ho detto, e ho cercato lo stesso risultato nel mio design.

All’inizio avevo pensato che la tipografia potesse essere il fulcro centrale di questo progetto ma poi ho cambiato idea e mi sono spostato verso l’illustrazione: Ho voluto che questa fosse giocosa e intelligente senza mai essere superficiale. Proprio come il tono di voce di Calvino, un modo di ingaggiare l’attenzione del lettore con leggerezza mai banale. Le illustrazioni sono composte di pochi elementi disegnati in maniera analogica, perché penso sempre che avere degli elementi nati dal gesto materico scaldino una copertina, siano una testimonianza dell’umanità che per un po’ di tempo ha sostato, misurandosi, dietro quel design.

Ogni illustrazione racconta un tratto del racconto o di un concetto se si tratta di un’opera non-fiction, e c’è sempre un’immagine nell’immagine, insomma un piccolo gioco visivo. Credo che per il lettore sia sempre una sfida desiderabile quella di avere nell’immagine un piccolo elemento da comprendere, da decodificare. Di nuovo: questo mi deriva dal mio considerare il lettore come un soggetto capace sia intellettualmente che visivamente.

Di fronte a una copertina il primo livello è quello tipografico del titolo autore, poi c’è quello dell’illustrazione, ma se si aggiunge  un piccolo gioco visivo allora si inserisce un terzo livello di percezione, di coinvolgimento intellettuale che rende più interessante l’esperienza di una copertina.

Immagino che un’altra difficoltà sia stato anche il numero di copertine da realizzare…

Il processo di realizzazione è stato lungo, 33 copertine da realizzare e per le quali volevo essere certe di fornire il contenuto visivo più appropriato. Il team di Mondadori ha sempre risposto con grande coinvolgimento alla mie proposte anche quando non sembravano ancora pienamente a fuoco. Un piccolo aneddoto: mi sono divertito quando l’art director mi ha comunicato che i “cuori” non erano adatti per Calvino. Così è stato, ma alla fine almeno uno sono riuscito a farlo passare! Anche in questo caso la redazione è stata un grande riferimento per me, un baluardo per restare il più vicino possibile a Calvino.

Quando si guardano tutte e 33 le copertine insieme lo spettro di colori è molto ampio e in qualche modo sono felice che renda a colpo d’occhio – almeno in parte – la caleidoscopica produzione di Calvino.

Per quanto riguarda la tipografia all’inizio avevo creato un font, molto bold, geometrico che alla fine è risultato troppo pesante. Ne ho dunque scelto uno diverso, con molta personalità ma che non cannibalizza il resto della copertina. Si tratta del Busorama, disegnato da Tom Carnase, un font in cui le lettere per il nome dell’autore si fanno eco l’una con l’altra, la N con la V, la O con la C, creando delle forme molto piacevoli. Un font che ancora conserva un sapore molto fresco malgrado l’età e che sono fiducioso possa funzionare ancora a lungo. A questo font ne ho affiancato un altro per il titolo dell’opera, il Brunel Deck di Commercial Type,  uno dei miei preferiti tra i serif che malgrado sia recente – di un paio di anni fa – restituisce un’idea di classico senza tempo.

Inoltre il font per il nome di Calvino, malgrado non sia di fresca data, da una parte ha quel sapore di preziosa eredità del passato – come Calvino stesso, appunto – e dall’altra ha il vantaggio, come tutti i font del passato, di essere già testato, di aver già passato la prova nel tempo dell’utilizzabilità e della leggibilità. 

In fondo quando creiamo una copertina dobbiamo sempre tenere in mente che non stiamo creando qualcosa per l’oggi, per la classifica dei libri della settimana, ma per il futuro, per un oggetto, come il libro, che avrà anni di vita davanti a sé. E quindi penso sempre di dover realizzare qualcosa per cui, spero, non si provi imbarazzo tra 20 o 30 anni quando qualcuno lo guarderà di nuovo. I libri e le loro copertine vanno oltre la nostra vita.

Quindi credo che la tipografia di questo progetto aiuti allo stesso tempo a parlare al presente, al passato e abbia la stoffa per affrontare il futuro.


Mi ha raccontato Riccardo Falcinelli, uno dei tuoi colleghi italiani più famosi e preparati, che quando presenta ai suoi committenti i layout delle copertine, spesso l’ultima parola spetta al responsabile marketing. Quasi a sottolineare che il successo di un libro è legato unicamente alle vendite dello stesso. Anche a te risulta questa modalità e – soprattutto – credi che il successo di un libro si misuri soltanto dalle sue vendite o “un altro mondo è possibile”?

Nel mercato anglosassone al momento c’è una forte attenzione degli editori sulle copertine perché il valore visivo di un design trova ormai sfogo non solo sullo scaffale della libreria ma anche nella comunicazione online e sui canali social. Ha quindi ha ampliato la sua esposizione, la sua rilevanza.

Io credo che meno persone sono coinvolte nel processo creativo e migliore è il prodotto finale. Lasciare libertà al dipartimento creativo – cioè art, editor e designer/illustratore – credo sia sempre la strada migliore.

Insomma quando un design piace a troppe persone io ho sempre il sospetto che si tratti un prodotto un po’ noioso.


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