Gipi

Articolo pubblicato il: 14 Maggio, 2021


La sua storia, le illustrazioni, i suoi libri e il cinema

Tra le tante fortune che ho avuto nella mia vita professionale, c’è quella di aver lavorato con Gianni Pacinotti, in arte Gipi. Ai tempi in cui arrivai a La Repubblica per occuparmi de La Domenica di Repubblica – stiamo parlando all’incirca del 2004 – il collega Pasquale Gioffré che lo aveva conosciuto nella redazione di “Cuore” lo presentò all’Art director Angelo Rinaldi che subito gli propose di disegnare per il quotidiano. Fu l’inizio di una collaborazione incredibile, sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista umano. Gipi realizzò di tutto: storie a fumetti per La Domenica di Repubblica, illustrazioni per il quotidiano, per copertine di libri e per le iniziative speciali. Sempre con una qualità incredibile e una velocità sorprendente.

I suoi acquerelli hanno dato un valore aggiunto alle pagine in cui apparivano e in quegli anni la statura artistica di Gipi ha raggiunto vette altissime. Poi è arrivato il cinema, con la regia di due lungometraggi, e poi la consacrazione come autore, con la candidatura del suo “una storia” al premio Letterario Strega, prima volta per un’opera a fumetti.

Ma la grandezza di Gipi è anche umana: è un generoso, sempre pronto a dare una mano ai giovani disegnatori e sempre disponibile. Quando gli ho proposto di fare questa intervista, a febbraio dello scorso anno, ha subito accettato e mi ha regalato una chiacchierata bellissima, conclusa con un suo monologo rivolto ai giovani aspiranti illustratori che è una vera e propria lezione di vita. Non posso non trascriverlo qui sotto.

«Non ti scordare che lavorare in una cazzo di fabbrica di merda è molto peggio. Quindi qualunque ragazzo si avvicini [a questo mestiere] deve capire che quello che chiede è di raggiungere una condizione di privilegio, un giorno. Di privilegio assoluto. E quindi non può chiedere di avere una via facile, non può chiedere che per via ministeriale gli sia concesso di fare il suo “percorsino”. Non può chiedere di avere un’ottima paga sin dal primo disegno. Dev’essere disposto a farsi sbranare il culo dall’esistenza. Perché quello che chiede, alla fine della fiera, non è di essere un impiegato alle Poste, ma di essere un cazzo di privilegiato artista libero come l’aria che magari, se gli va bene, guadagna anche un sacco di soldi. La devi pagare ’sta roba, perché sennò chi cazzo sei? Cos’hai di più di mio padre, che lavorò tutta la vita in un negozio?»


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